Skylab
Le radici del progetto Skylab, affondano, come quasi tutto quello che si è fatto da parte americana nello spazio, alle geniali concezioni di Wernher von Braun. Nel 1955, lo US Army, per il quale all’epoca egli lavorava presso l’arsenale di Redstone, Alabama, come direttore esecutivo dell’Army Ballistic Missile Agency, gli chiese di studiare la possibile realizzazione di una base lunare militare permanente. Nacque così il Project Horizon, che prevedeva l’impiego di enormi (per l’epoca) vettori, necessari al sollevamento del materiale e dell’equipaggio della base lunare. E dato che gli stadi superiori dei vettori Horizon sarebbero rimasti in orbita, dopo avere esaurito il carburante necessario a spingere le navette lunari verso il nostro satellite, lo scienziato tedesco pensò di poterli utilizzare per alloggiare gli astronauti che avrebbero poi provveduto a montare la grande stazione spaziale a ruota che era pure nei suoi progetti. E dal concetto di riutilizzare boosters esauriti per ottenere ambienti abitabili, sarebbero seguiti numerosi progetti per tutti gli anni Sessanta, fino allo Skylab vero e proprio.
Progetto Douglas per un laboratorio spaziale
Nel 1963, l’US Air Force iniziò lo sviluppo del Manned Orbital Laboratory, una piccola stazione spaziale intesa principalmente come satellite spia abitato. Dotato di due telescopi ad alta potenza puntati verso terra e abitato da due astronauti, l’MOL aveva lo stesso diametro dello stadio superiore di un vettore Titan II, una versione modificata del quale era previsto la ponesse in orbita, con l’equipaggio trasportato da una capsula Gemini modificata con l’apertura di un boccaporto nella parte inferiore dello scudo termico. La NASA si sentì direttamente minacciata da quel progetto, e avviò una serie di studi per la realizzazione di stazioni spaziali sue. In realtà, fiorirono diverse dozzine di progetti, molti dei quali sono puri e semplici e frettolosi schizzi a biro o matita, un paio di quali tracciati perfino sui tovagliolini di carta della caffetteria della NASA, a Houston, secondo una consuetudine piuttosto diffusa negli USA, al punto da fornire la base per un’espressione idiomatica dell’inglese parlato nel continente nordamericano.
Il concetto che alla fine si fece strada con più insistenza, era quello di una piattaforma lanciata da un vettore Saturn V, a cui avrebbe fatto seguito quindi il suo equipaggio con un Saturn IB a bordo di un Apollo CSM, o, in alternativa, un Titan II-C con una capsula Gemini nel caso di equipaggio da avvicendare e senza la necessità di dover trasportare materiale.
Il concetto che alla fine si fece strada con più insistenza, era quello di una piattaforma lanciata da un vettore Saturn V, a cui avrebbe fatto seguito quindi il suo equipaggio con un Saturn IB a bordo di un Apollo CSM, o, in alternativa, un Titan II-C con una capsula Gemini nel caso di equipaggio da avvicendare e senza la necessità di dover trasportare materiale.
Concetto generale dello Skylab come elaborato sul finire degli anni Sessanta.
La NASA guardava comunque con interesse anche alle diverse proposte delle aziende aerospaziali, che, in quegli anni si sbizzarrirono a immaginare stazioni spaziali in orbita terrestre e lunare per supportare basi permanenti sulla superficie del nostro satellite. Uno dei progetti seguiti con più interesse in quel periodo, proveniva dalla Lockheed: 24 uomini in orbita terrestre, 6 in orbita lunare, una vita di almeno cinque anni per i veicoli, e navette di collegamento per avvicendare gli equipaggi e portare i rifornimenti. Dal progetto lifting body collegato a questo concetto di stazioni spaziali Lockheed, sarebbe nato lo Space Shuttle.
Nel Giugno 1964, la NASA creò l’Apollo Logistic Support System Office, con lo scopo di studiare le varie possibilità di modifica del progetto Apollo/Saturn V, al fine di realizzare missioni scientifiche nello spazio. I vari progetti messi allo studio, prevedevano missioni lunari con permanenza sulla Luna di un intero mese lunare, messe in opera lanciando due o tre Saturn V contemporaneamente e facendo atterrare sulla superficie del nostro satellite strutture realizzate modificando e ingrandendo sia le capsule Apollo che sarebbero dovute scendere sulla Luna complete del modulo di servizio per essere quindi adagiate sulla superficie e utilizzate come habitat semi permanenti, sia, in alternativa, il modulo lunare modificato come habitat e spedito come unico payload di un Saturn V.
L’anno successivo, l’ufficio cambiò nome, e divenne l’Apollo Applications Program, nome col quale studiò diverse estensioni del progetto in sé, comprese missioni umane di sorvolo di Marte, Venere e Cerere. Uno di questi progetti, prevedeva l’invio in orbita di una piccola stazione ottenuta modificando un modulo lunare, mentre von Braun proponeva l’utilizzo dello stadio superiore di un Saturn V, S-IVB, che rimaneva in orbita terrestre dopo la partenza del bus Apollo-LM per il nostro satellite (in realtà, per evitare incidenti, si provvedeva a inviarlo in orbita solare o a farlo schiantare sulla Luna). Una successiva missione inviata da terra con Saturn IB, avrebbe provveduto ai lavori necessari per rendere lo stadio abitabile per una missione scientifica, applicando fra l’altro dei pannelli solari per fornire l’energia necessaria all’alimentazione dei diversi sottosistemi. E il cosiddetto concetto dell’wet workshop, concetto ribadito successivamente nella proposta di O’Neill di usare il serbatoio centrale dello Shuttle come base di partenza per le sue colonie umane.
Il 1° Aprile 1966, il Michelson Science Center (ora NASA Exoplanet Science Institute, NExScI, inviò un’RFP a Douglas, Grumman e McDonnell, per la conversione del terzo stadio, S-IVB, esaurito, di un Saturn V, sotto il nome Saturn S-IVB Spent-Stage Experiment Support Module (SSESM), e alla fine di Luglio, fu annunciato che un cosiddetto Orbital Workshop sarebbe stato lanciato come parte della missione AS209 nel quadro dei collaudi della navetta Apollo in LEO, seguita dall’equipaggio e dal materiale con due successivi lanci Saturn I, AAP1 e 2, e questo nonostante le preoccupazioni esposte dagli astronauti all’idea di lavorare in un ambiente che aveva contenuto il pericoloso idrogeno liquido.
Nel frattempo, i costi esorbitanti del programma Apollo, portarono a cancellazioni dolorose ma necessarie: nell’Agosto 1967, la NASA annunciò che la prevista base lunare era stata cassata dai programmi, assieme alle missioni Apollo da 20 a 30 (successivamente sarebbero state cancellate anche le missioni 18, 19 e 20). L’Orbital Workshop non venne invece toccato, con l’importante novità che la cancellazione delle missioni lunari rendeva disponibili vettori Saturn V in origine previsti per loro, e questo faceva sì che si potesse lanciare in orbita la stazione direttamente come “dry workshop”.
L’8 Agosto 1969, la McDonnell Douglas ricevette un contratto per la conversione di due stadi S-IVB nella configurazione “dry” Orbital Workshop: uno sarebbe stato usato come mockup per addestrare gli astronauti a terra, il secondo messo in orbita e denominato Skylab.
SKYLAB
Skylab fu lanciato il 14 Maggio 1973 con un vettore Saturn INT-21 e posto in un’orbita a 435 chilometri di distanza dalla terra. Dopo soli 63 secondi dal lancio, si staccò una copertura che distrusse un pannello solare nonché uno scudo di protezione contro l'impatto di meteoriti. La stazione spaziale raggiunse la traiettoria d'orbita programmata, senza essere tuttavia in grado di funzionare con un equipaggio umano.
Nonostante ciò, il controllo del volo, a Houston, riuscì a spiegare i quattro pannelli solari principali dell'osservatorio astronomico, ma rimanevano però problemi con i restanti due pannelli. Lo scudo protettivo contro l'impatto di meteoriti aveva la contemporanea funzione di protezione termica e la mancanza dello stesso comportò un notevole aumento di temperatura all'interno della stazione spaziale stessa, tanto che si temette la distruzione degli alimenti, dei medicinali e delle pellicole fotografiche.
Il lancio dello Skylab.
Come prima reazione a questi problemi il lancio di Skylab 2 venne posticipato a quando la situazione effettiva dello stato della stazione spaziale non fosse stata completamente chiarita. Contemporaneamente la direzione di volo tentò di portare lo Skylab in una posizione ottimale, trovandosi di fronte a un angoscioso dilemma: se i pannelli solari funzionanti rimanevano esposti verso il sole, si poteva sì guadagnare energia sufficiente per far funzionare la stazione ma contemporaneamente la temperatura all'interno della stazione sarebbe aumentata notevolmente. Se invece si fosse girata la stazione posizionandola in modo che la parte priva di protezione rimanesse all'ombra, i pannelli solari non avrebbero prodotto energia sufficiente per far funzionare la stazione e a far ricaricare gli accumulatori d'energia. Se non fosse stato possibile riparare i danni che si erano verificati al lancio entro pochi giorni, la stazione spaziale sarebbe stata inutilizzabile.
LE MISSIONI
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Joseph Kerwin, Charles Conrad e Paul Weitz.
Skylab 2 (SL2, oppure SLM1), fu la prima missione a portare astronauti sullo Skylab: con la sua durata di 28 giorni, 49 minuti e 49 secondi, fu all’epoca la più lunga permanenza nello spazio di un equipaggio umano e la prima a riportare a terra vivi gli occupanti di una stazione spaziale (la precedente, Salyut 1, si era conclusa con la morte dell’equipaggio sovietico per il cedimento di un pannello con conseguente decompressione). Ne facevano parte Charles “Pete” Conrad jr, comandante (già nello spazio con Gemini 5 e 11, e sulla Luna con Apollo 12), Paul Joseph Weitz, pilota (avrebbe volato ancora come comandante dell’STS6, Challenger, nel 1983) e il dottor Joseph Peter Kerwin, primo medico a volare nello spazio.
Partito con dieci giorni di ritardo, lo Skylab 2 venne lanciato il 25 Maggio 1973. Dieci minuti dopo il lancio, la capsula Apollo, priva di un proprio radio call, entrò in orbita, per eseguire il rendezvous con la stazione spaziale cinque orbite più tardi. Durante la manovra di aggancio, gli astronauti eseguirono una prima ricognizione visiva dello Skylab per verificare i danni subiti, inviando contemporaneamente le immagini a terra per avere ulteriori indicazioni. Come previsto, la maggior parte dello scudo termico mancava completamente. Lo stesso valeva per un pannello solare mentre un ulteriore pannello si era solamente incastrato durante la fase di estrazione.
A questo punto, l’astronauta Weitz, mentre si trovava in piedi nel portello aperto della capsula Apollo (cioè eseguendo una cosiddetta Stand Up-EVA) tentò di estrarre il pannello dall’incastramento. Kerwin reggeva l’astronauta trattenendolo alle sue gambe, mentre Conrad tentava di manovrare il più lentamente possibile la capsula. La manovra, per quanto spericolata, non riuscì.
Solo il giorno successivo, gli astronauti passarono dalla capsula alla stazione spaziale, surriscaldata a causa della mancanza dello scudo termico. L’equipaggio fu comunque in grado di aprire una vela protettiva solare e di posizionarla all’esterno del laboratorio raggiungendo l’effetto che il calore diminuì ben presto entro un limite sopportabile per l’equipaggio. Il disegno e la costruzione di questo rudimentale “parasole”, era stato realizzato in appena sette giorni.
Il 7 Giugno, Conrad e Kerwin eseguirono un’altra EVA di 3 ore e 25 minuti per liberare il pannello solare. Da questo momento, Skylab poté funzionare regolarmente.
Durante le rimanenti due settimane l’equipaggio eseguì diversi esperimenti scientifici, mentre una terza EVA, di un’ora e 36 minuti, venne eseguita da Conrad e Weitz il 13 Giugno per sostituire la pellicola, esaurita, dell’osservatorio astronomico.
Il 22 Giugno l’equipaggio fece ritorno a terra, dimostrando che l’uomo era in grado di superare avvenimenti negativi imprevisti, e che gli astronauti potevano rimanere, vivere e lavorare quattro settimane in condizione di microgravità, portando alla conclusione che non ci fossero assolutamente controindicazioni a una permanenza prolungata nello spazio.
Anche se tutti gli esperimenti non poterono essere eseguiti come programmato, a causa dei lavori di riparazione che avevano impegnato una gran parte del tempo disponibile, il numero di dati e risultati trasmessi al termine della missione fu considerato ampiamente soddisfacente. Anche la capsula Apollo si era dimostrata completamente affidabile. La pausa di circa quattro settimane tra il volo di andata ed il volo di ritorno non aveva assolutamente influito sul suo rendimento.
Skylab 3 ( SL-3, SLM-2) , partì il 28 Luglio 1973 e durò 59 giorni, 11 ore e 9 minuti, con comandante Alan LaVern Bean, quarto uomo sulla Luna con Apollo 12, pilota Jack Robert Lousma (volerà ancora con STS3, Columbia, nel 1982), e tecnico di missione l’ingegnere elettronico Owen Kay Garriott (volerà nel 1983 con STS9, Colombia, prima missione Spacelab). Ufficialmente Skylab 3, anche se spesso viene nominata come Skylab 2 (come per esempio indicato sullo stemma della missione), in quanto si trattò del secondo equipaggio della stazione spaziale stessa.
Come per la missione precedente, furono programmati dei lavori di riparazione della stazione spaziale. La vela solare montata da Conrad e Kerwin, se da un lato proteggeva lo Skylab dall’eccessivo calore, dall’altra era comunque stata ritenuta fin dal principio una soluzione provvisoria. Pertanto sarebbe stato compito dell’equipaggio dello Skylab 3 eseguire una riparazione migliore sostituendo la vela con una protezione contro i raggi solari più efficiente. Per allenarsi all’esecuzione di questo lavoro in uno stato di microgravità, i gli astronauti avevano lavorato sott’acqua in un'apposita vasca nel centro spaziale di Houston.
Alan Bean, Jack Lousma e Owen K. Garriott.
Durante i primi giorni della missione, l’intero equipaggio soffrì della cosiddetta “malattia dello spazio”, un malessere non dissimile dal mal d’auto o di mare, fatto, questo, che stupì i medici: durante le missioni Gemini e Apollo, era capitato che un singolo membro dell’equipaggio sviluppasse la sindrome, ma questa era la prima volta che l’intero equipaggio di una missione ne soffriva.
Il 2 Agosto fu rilevato un malfunzionamento degli ugelli di pilotaggio della capsula Apollo: già durante la prima giornata di missione, uno dei quattro ugelli di manovra aveva smesso di funzionare, ora si dovette constatare il malfunzionamento di un secondo. C’era certezza di fare ritorno verso la Terra anche con due soli ugelli funzionanti, però non fu chiaro se il malfunzionamento era dovuto ad una causa comune, pertanto si temeva che la stessa avaria potesse colpire gli ugelli ancora funzionantti. Per questo motivo e particolarmente per essere pronti a reagire in caso si verificasse quanto temuto, iniziarono a Cape Canaveral i preparativi per un eventuale volo di soccorso. Già negli anni precedenti erano infatti stati elaborati dei piani d’intervento per l’esecuzione di una missione di soccorso anche sulla Luna.
Apollo modificato per Skylab Rescue.Sotto: il patch della missione prevista.
Per il cosiddetto Skylab Rescue si era modificata una navetta Apollo in modo da ottenere lo spazio per un equipaggio di cinque persone. Una di queste capsule così modificate, nonché un razzo vettore Saturn IB erano già pronti per lo Skylab 4 come pure una seconda capsula spaziale ed il relativo razzo per ilprogramma Apollo-Sojuz. Fu programmato, che due componenti dell’equipaggio di riserva, cioè gli astronauti Vance DeVoe Brand e Don Leslie Lind sarebbero volati verso lo Skylab per agganciarsi al secondo boccaporto presente sulla stazione spaziale. Cosi i tre astronauti avrebbero potuto lasciare il laboratorio spaziale e far ritorno verso la Terra coi loro colleghi. A seconda del momento della situazione d’emergenza, si considerava un periodo di preparazione dell’eventuale missione di soccorso da un minimo di 10 giorni entro il limite massimo di 45 giorni.
Ben presto fu comunque chiaro che le avarie riscontrate non mettevano in pericolo la prosecuzione della missione. Il 6 Agosto, Garriott e Lousma eseguirono un’EVA della durata di 6 ore e 31 minuti per montare una vela solare, cambiare le pellicole della telecamera di osservazione solare nonché eseguire tre esperimenti di carattere scientifico. Altre due EVA vennero compiute il 24 Agosto da Garriott e Lousma (4 ore e 31 minuti), e, infine, il 22 Settembre, da Garriott e Bean (2 ore e 41 minuti).
Bean, fece richiesta di prolungare la permanenza dello spazio di un ulteriore settimana sul previsto, ma il centro di controllo non acconsentì, in quanto i medici di volo insistevano per avere ulteriori esami dell’influenza della microgravità sullo stato di salute generale, prima di acconsentire una tale permanenza prolungata(va ricordato che durante la missione si era manifestata per la prima volta la cosiddetta “puffy face syndrome”). Un secondo motivo per cui la richiesta non poté essere accolta fu che le riserve alimentari erano quasi esaurite. Va ricordato anche che gli esperimenti per studiare la microgravità su topi, moscerini della fruttae ragni fallirono per la morte degli animali dovuta a un black out elettrico nelle loro gabbie avvenuto dopo il lancio e protrattosi per quasi due giorni.
Il 25 Settembre, Bean, Lousma e Garriott tornarono quindi a terra.
Skylab 4 (SL-4, SLM-3) fu lanciato il 16 Novembre 1973, in ritardo di cinque giorni sul piano di volo previsto a causa della scoperta di estese fessurazioni sugli stabilizzatori del vettore Saturn IB, che dovettero essere completamente sostituiti. Con Gerald Paul Carr, comandante, William Reid Pogue, pilota, ed Edward George Gibson, specialista di missione (master al CalTech in propulsione missilistica), la missione ebbe una durata di 84giorni, 1 ora e 16 minuti, e fu la prima a vedere il Capodanno in orbita e la prima ad avere un intero equipaggio che volava per la prima volta nello spazio. E probabilmente fu anche la prima a scioperare.
Esaminando i parametri della missione precedente, i medici di Houston si erano fatti l’idea che il malessere che aveva colpito l’intero equipaggio, fosse dovuto allo spostamento improvviso in microgravità dall’ambiente relativamente angusto della capsula Apollo a quello più vasto dello Skylab. Pertanto fu deciso che la prima notte, gli astronauti avrebbero dormito sulla navetta, per spostarsi l’indomani nel laboratorio, il che non impedì a Pogue di manifestare ugualmente i sintomi del mal di spazio. Carr non riferì l’accaduto nel timore di vedere prolungata la permanenza sull’Apollo, ma i dati biometrici trasmessi a terra permisero al controllo di missione di scoprire l’accaduto. L’equipaggio fu severamente redarguito per quel silenzio, fatto che contribuì a incrinare i rapporti. In seguito, gli astronauti ebbero a lamentarsi per il cibo, assolutamente insipido, privo com’era di qualsiasi salsa e con una razione di sale bassissima, e del carico di lavoro troppo pesante e non programmato ― molti esperimenti non erano stati nemmeno provati a terra ―. Dopo diverse rimostranze, l’equipaggio decise di prendersi un giorno di vacanza. Probabilmente fu il primo esempio di sciopero spaziale della storia. In seguito a questo fatto, i rapporti migliorarono.
Furono eseguite quattro EVAs: Gibson e Pogue il 22 Novembre impiegarono 6 ore e 33 minuti all’esterno per eseguire diverse riparazioni e sostituire la pellicola nell’osservatorio solare; Carr e Pogue, il 25 Dicembre per un’ora e un minuto cercarono di riparare uno dei giroscopi della stazione andato fuori uso, missione successivamente riuscita a Carr e Gibson, con un’EVA di 3 ore e 29 minuti, il 29 Dicembre. L’ultima attività extraveicolare venne compiuta ancora da Carr e Gibson il 3 Febbraio 1974 per 5 ore e 19 minuti di manutenzione ordinaria del laboratorio.
I risultati scientifici di maggiore impatto, furono l’osservazione della cometa Kohoutek e la determinazione dall’esame spettroscopico, della presenza di acqua nel suo nucleo, e, il 21 Gennaio 1974, la prima ripresa di un flare solare.
Gerald Carr, Edward G. Gibson e William Pogue.
Gerald Carr, Edward G. Gibson e William Pogue.
L’8 Febbraio 1974, l’equipaggio fece rientro a terra con un nuovo imprevisto: appena azionati i razzi frenanti per avviare la fase di rientro nell’atmosfera, Carr notò che i congegni di pilotaggio non reagivano, e dovette azionare i sistemi di riserva. In seguito si scoprì che l’anomalia era dovuta al fatto che in precedenza diversi interruttori di bordo erano stati azionati erroneamente. Prima del rientro, il motore principale della capsula Apollo fu acceso per tre minuti per portare lo Skylab in un’orbita più alta: secondo i calcoli della NASA tale manovra avrebbe ritardato il rientro del laboratorio nell’atmosfera di almeno nove anni. Prima di quella data, si prevedeva di fare ritorno sulla stazione con il nuovo Space Shuttle.
Problemi psicologici legati alle missioni: quando alla fine del programma venne paragonato il carico di lavoro svolto dai tre equipaggi, confrontando esclusivamente il lavoro della terza e quarta settimana di missione, non poterono essere rilevati notevoli o significanti differenze. Pure il terzo equipaggio aveva infatti raggiunto molto di più di quanto preventivamente previsto.
Notevoli differenze vennero però rilevate nelle personalità dei tre equipaggi. Infatti i lavori di sistemazione e riparazione eseguiti dal primo equipaggio furono la ragione che lo stesso sviluppò per sé la sensazione di essere dei pionieri dell’esplorazione spaziale. Il secondo equipaggio si concentrò quasi esclusivamente all’esecuzione dei lavori e dei vari esperimenti, rinunciando molto spesso a fasi di riposo o di tempo libero. Il più situazioni di conflitto intervennero invece con il terzo equipaggio. Molti problemi o oggetti di polemica non vennero discussi tra equipaggio e centro di controllo e ciò ebbe un influsso negativo sullo sviluppo della missione. Il risultato fu che nessuno dei tre astronauti del terzo equipaggio venne nominato per un successivo volo nello spazio.
Tre le cause per questo conflitto.
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1) L’enorme carico di lavoro previsto. Anche se la durata della giornata di lavoro per il terzo equipaggio rimase invariata nei confronti delle precedenti missioni, l’equipaggio fu costretto a portare l’assoluto rendimento, non più per uno o due mesi, bensì per ben tre mesi completi.
2) La mancanza di fiducia tra il centro di controllo e l’equipaggio, a causa dell’omissione dell’indicazione del malessere dell’astronauta Pogue. I responsabili a terra infatti furono scettici per tutta la durata della missione ed ebbero costantemente dubbi che ulteriori fatti intervenuti a bordo della stazione spaziale non fossero stati comunicati.
3) L’equipaggio era ripetutamente confrontato con delle carenze di tipo tecnico. Con il passare del tempo, l’equipaggio fu sempre più scontento del malfunzionamento tecnico del loro veicolo spaziale, e tale scontentezza si manifestò durante i colloqui con il centro di controllo ― sicuramente nei momenti meno opportuni.
Tutto sommato si poterono comunque registrare delle situazioni analoghe intercorse durante la missione dell’Apollo 7 Apollo 7. Anche gli astronauti Schirra, Cunningham e Eisele impegnati nella prima missione umana Apollo, nell’Ottobre 1968, furono colmati di lavori da eseguire durante questa missione. Inoltre gli astronauti erano colpiti dal raffreddore e pertanto molto tesi durante tutta la missione, in quanto temevano disturbi permanenti della loro salute, dipendenti dalla fase di rientro in atmosfera. Al contrario dell’equipaggio dello Skylab, gli astronauti dell’Apollo 7 articolarono ben presto i loro differenti punti di vista tentando via radio di chiarire gli stessi con il centro di controllo. Con ciò furono in grado di raggiungere diversi compromessi.
Anche se lo Skylab rimase l’unica stazione spaziale americana, poterono essere ricavate dalla stessa importanti esperienze per missioni verso e sulla stazione spaziale sovietica Mir nonché per la stazione spaziale internazionale ISS. In particolar modo fu constatato che per gli astronauti bisognava raggiungere un rapporto ottimale tra periodi di lavoro e periodi di tempo libero. Questo rapporto dipendeva sia dal profilo della missione come pure dalla durata della missione stessa. Bisognava ad ogni costo coinvolgere notevolmente gli astronauti, come pure degli esperti ex-astronauti, nella programmazione della missione. Di fondamentale importanza venne valutato il rapporto tra equipaggio e collaboratori del centro di controllo. Inoltre bisognava prevedere diverse alternative nella fase di programmazione della missione, per poter reagire in una maniera molto flessibile se determinati lavori o esperimenti impegnassero meno o più tempo di quanto previsto.
Per future missioni nello spazio, come per esempio un volo umano verso Marte, non solo il sovraccarico di lavoro può diventare un problema per l’equipaggio, bensì la noia o la frustrazione delle fasi di volo più tranquille potrebbe essere un problema.
Un ultimo argomento da tener presente fu l’importanza della composizione dell’equipaggio. Fortunatamente per tutti i tre equipaggi dello Skylab la scelta dell’equipaggio era riuscita in una maniera tale, che gli equipaggi furono abbastanza affiatati tra di loro. Maggiori problemi, differenze interne o situazioni di tensione tra gli astronauti non vennero registrate.
Skylab fu dunque lasciato in un orbita di parcheggio con la previsione di inviare nuovi equipaggi appena lo Shuttle si fosse reso disponile nel 1979.
I ritardi fecero sì che la navetta non potesse essere lanciata che all’inizio del 1981, quindi si studiò si spostarlo in un’orbita più alta con una missione automatica, chiamata Teleoperator, ma la carenza di fondi, assorbiti dallo Shuttle, impedirono la sua realizzazione, pertanto, il 19 Dicembre 1978, la NASA annunciò ufficialmente che lo Skylab non poteva più essere salvato. Il laboratorio precipitò sulla terra l’11 Luglio 1979, spezzandosi in più parti che raggiunsero la superficie in maniera più consistente di quanto previsto, anche se l’unica vittima fu una mucca australiana centrata da un frammento nei dintorni di Perth.
L’intero programma era costato 2,6 miliardi di dollari al valore del 1973.
Skylab
Dimensioni: 84 piedi, pari a 25,60 metri di lunghezza, per 22 piedi, pari a 6 metri e 71centimetri di diametro
Massa: 169950 libre, pari a 77088 chili
Volume abitabile: 10 mila piedi cubici, pari a 283,17 metri cubi
Dati orbitali: 434x441,9 chilometri, inclinazione 50°, periodo 93 minuti
Saturn INT-21
Modifica del Saturn V con l’eliminazione del terzo stadio per fare posto allo Skylab.
Dimensioni: lunghezza 262 piedi, pari a 79,86 metri senza lo Skylab
Diametro 33 piedi, pari a 10,06 metri
Massa totale: 6429000 libbre, pari a 2916145 chili
Payload a LEO: 165000 libbre, pari a 74843chili
Motori: I stadio S-IC: 5 Rocketdyne F1, propulsi con miscela RP1/LOX, spinta totale 7648000 libbre, pari 3469074 chili per 150 secondi. II stadio, S-II: 5 Rocketdyne J2, propulsione LH2/LOX, spinta totale 1 milione di libbre, pari a 453592 chili per 360 secondi
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